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Il ricordo del Presidente di "Famiglia Feltrina"

In memoria di Gianmario Dal Molin[1]

Provo trepidazione nel prendere la parola sotto queste volte dove risuonano parole ben più definitive; anzi, dove – come abbiamo appena sentito – viene pronunciata la Parola. Siamo qui non per ossequiare una usanza del passato o, peggio, per assecondare l’inerzia di una abitudine. Siamo qui perché questo luogo ci dice “tutto” dell’ispirazione a cui guardava Gianmario.
Era nato nel 1940 sull’Altopiano di Sovramonte in un contesto paesano imbevuto, verrebbe da dire impregnato, di tradizione cattolica, come descrive efficacemente in Serbo – Antropologia di un villaggio di montagna, libro dedicato alla terra d’origine e uno dei volumi più brillanti  usciti dalla sua penna. Di fronte a questa formazione così pervasiva e penetrante, Gianmario percorre un cammino originale e alternativo alle risposte che erano allora più comuni, sia quella della ripulsa, della reazione contraria sia quella della accettazione acritica, a mo’ di appiattimento alla tendenza dominante. Introdotto al mondo degli studi dallo zio, don Pietro Dal Molin, sarà capace di intraprendere una strada di interiorizzazione della fede e di elaborazione personale del vissuto religioso e delle sue ricadute negli impegni della vita corrente, laicamente, in dialogo con i non credenti, senza derive integraliste, coltivando il tutto entro uno sguardo storico della realtà, ottica nella quale mise grandemente a profitto il suo talento originale di ricercatore appassionato.
Proprio nel campo della ricerca e dell’alta cultura trovò un primo terreno di conferma della sua adesione a quella ispirazione guardando al popolo – che a volte amava definire il “santo popolo di Dio” - non come una nozione astratta ma sempre come una determinata realtà storica, costituita nelle diverse configurazioni dei rapporti sociali. Si laureò prima in Scienze politiche a indirizzo storiografico e poi in Psicologia a indirizzo clinico perseverando nello studio: vinse il concorso di bibliotecario a Cà Foscari, si perfezionò in psicoterapia della famiglia, acquisì l’abilitazione all’insegnamento al Liceo-ginnasio, divenne docente di Storia moderna alla Facoltà di lingue dello Iulm, con Gabriele De Rosa e Angelo Gambasin fondò il Centro di Storia sociale e religiosa di Vicenza e molto altro ancora. Per questo è riduttivo circoscriverlo a storico locale e uno ne prende consapevolezza leggendo la bibliografia nazionale di molti filoni di ricerca che lo hanno visto all’opera.
Fu dirigente presso la Giunta Regionale dal 1972 al 1980 nei settori della cultura e della programmazione socio-sanitaria, fu membro del Consiglio di Amministrazione dello Iulm, fu assessore alla Cultura della nostra città dal 2000 al 2003. Ma è stato soprattutto il campo socio-sanitario che lo ha visto protagonista e pioniere di passaggi delicati, strategici e complessi prima come coordinatore sociale dell’Ulss feltrina e poi come Direttore Generale dal 1995 al 1999. Accompagnò l’avvio dell’aziendalizzazione dell’Ulss attivando nuove unità come l’oncologia, la nefrologia o l’unità di cura coronarica, dando grande robustezza all’Ospedale, ma anche con una forte caratterizzazione sociale di attenzione all’handicap, alla famiglia, agli anziani, all’età evolutiva. Ecco il definitivo superamento dell’Ospedale psichiatrico, il potenziamento del consultorio famigliare, la creazione di due centri diurni per l’handicap e caso raro - a livello sia nazionale e tanto più regionale - una comunità terapeutica pubblica per le tossicodipendenze.
Nell’impegno civico c’è anche un Gianmario volontario che dietro le quinte operò nella luce che serve per vedere, più che per farsi vedere. Penso all’impegno nella Fondazione Zancan di Padova, alla guida del Comitato Pro-Ospedale, alla partecipazione al gruppo culturale di Mano Amica, all’attività nel Lions Club, nella Associazione S. Martiri e nell’Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea, alla presidenza per quasi un ventennio di Famiglia Feltrina (che trasformò da circolo del notabilato locale in associazione di promozione sociale) e a molte altre esperienze di gratuità e di impegno disinteressato in tante formazioni sociali.
Una personalità poliedrica, ricca di idee feconde, difficilmente riducibile entro l’angustia di un solo settore, di una unica materia: se volessimo trovare un comune denominatore del suo impegno lo troveremmo con tutta probabilità nell’aggettivo “sociale”: storia sociale, visione sociale delle dinamiche ecclesiali, programmazione sociale, sociale e sanitario, psicologia sociale, formazioni sociali e così via.
Ma questo leggere e intendere la vita dentro la società, per così dire “dal di dentro”, consente, andando ancora più in profondità, di cogliere l’idea fondante sulla quale questo feltrino a tutto tondo basava il suo amore per Feltre e le sue battaglie per Feltre, cioè la convinzione totale che Feltre per il suo precipitato storico, per la sua posizione geografica, per le sue attitudini di servizio fosse una comunità naturale, il fisiologico centro comunitario di un ambito ottimale. Torna qui l’ispirazione, l’idea di una visione comunitaria delle vicende umane, per cui il difendere l’autonomia ecclesiale o sanitaria non era ai suoi occhi folclore campanilistico ma la via per creare fiducia e sicurezza sociale, per stare dalla parte del popolo, della gente. In proposito possiamo confidare che il tempo dia occasione di rivedere certe riduzioni macchiettistiche del suo pensiero e di ravvedersi da certi dileggi. Certo, il suo era un pensiero pungente, appassionato, anche ironico, con il quale – volenti o nolenti – bisognava fare i conti perché mai banale e sempre sostenuto in una tensione di impulso, di promozione.
Infine, dovremo aprire una parentesi sul Gianmario privato, nell’intimità della sua casa padre amorevole delle figlie Donatella e Monica, marito affettuoso della moglie Adorna che ha onorato nel sacramento del matrimonio. Su questo è meglio ritornare alle sue radici spirituali prendendo spunto da quanto scriveva nel 2015 sul n. 34 di Rivista Feltrina[2], in un denso contributo dedicato ai rituali di morte: “Un dato costante delle poesie ottocentesche feltrine sull’oltretomba è quello dell’esaltazione del rapporto fra vivi e morti, fra il credente ancora pellegrino sulla terra e i propri cari in cielo, come poetava il Cristini “sulla tomba della sposa”
 “… Per farmi sospirar talor mi ascondi.
Ma quando il duolo il cuor mi strazia in petto,
Quella voce mi vien del paradiso:
Sarai tu meco, e qui te solo aspetto!”.
 
Grazie Gianmario.
                                                                                 Enrico Gaz
 
 
 
[1] Il testo riprende il saluto di commiato pronunciato al termine delle esequie svolte nella Concattredale di Feltre il 16 novembre 2022 e conserva l’originaria forma colloquiale.

[2] G. DAL MOLIN, Luoghi rituali di morte: liturgie, devozioni, riti e scaramanzie del morire in provincia di Belluno dalla fine dell’Ottocento alla prima metà del Novecento, in Rivista Feltrina, n. 34, 2015, pp. 67 – 93.